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Marchese Antinori - Storia di un incontro chimerico


Aneddoti imperdibili e storie d’intrecci perfetti, emergono dalle pagine scritte di proprio pugno dal Marchese Piero Antinori, venticinquesimo discendente di uno dei marchi più prestigiosi dell’enologia italiana, entrato seicento anni or sono a far parte dell’Arte Fiorentina dei Vinattieri.

«Viaggiare apre la mente. Ed è stato viaggiando che il mio tirocinio in Antinori è entrato nel vivo».

Così si racconta il Marchese ne “Il Profumo del Chianti”, un volume capace di evocare l’atmosfera di epoche storiche controverse. Dopo un lungo apprendistato come direttore delle vendite in Italia, all’inizio degli anni Sessanta gli viene chiesto di cimentarsi per la prima volta con il mercato americano, attraverso un gran tour di visita dei diversi importatori presenti a New York. Pianificato il viaggio in ogni dettaglio, all’ultimo momento, il padre Niccolò Antinori suggerisce di aggiungere una tappa non prevista. Una breve deviazione a Toronto, prima ancora di raggiungere gli States, così da poter conoscere il nuovo importatore in Canada, scelto per via epistolare, ma non ancora conosciuto di persona da nessun membro della famiglia.

Approdato in Canada gli si presenta tal Simonovic, un polacco loquace, dai modi cordiali e dal carattere estremamente socievole. Dopo una prima chiacchierata in cui questi si racconta, snocciolando tutta una serie di importanti aziende italiane da lui rappresentate in loco, ecco che Simonovic propone al Marchese di allungare il suo soggiorno canadese e di intraprendere insieme un giro dei principali monopoli situati nelle varie province, (in Canada ancora oggi i prodotti alcolici sono sotto diretto controllo statale). Piero Antinori accetta di buon grado, ben contento di poter imparare qualcosa di più rispetto ad un mercato considerato, ancora oggi, tra i più complessi nel panorama mondiale.

C’è un unico problema, di natura prettamente logistica: i dollari previsti per la spedizione oltreoceano lo attendono ancora a New York. La deviazione canadese era stata decisa, infatti, solo all’ultimo momento e sarebbe dovuta durare quel tanto da farsi bastare il contante portato dall’Italia. Non abbastanza da affrontare una tournée ben più articolata di quella pianificata. Così il giovane Antinori telefona al padre, che gli risponde spicciamente:

«Chiedi al nostro uomo se ti può anticipare». «Non c’è problema» è la pronta risposta dello zelante neo-importatore, sebbene il Marchese insista, perché i conti siano regolati a tempo debito. Risolto il problema, superato ogni imbarazzo, bastano un paio di giorni perché Piero Antinori inizi a preoccuparsi. Il tempo di scoprire quanto il suo ospite fosse in realtà un raffinato e gaudente viveur, amante della vita mondana e dei piaceri che essa offre. Hotel di lusso, ricchi pranzi, cene pantagrueliche a base di caviale e champagne: troppo per un viaggio di lavoro da parte di un giovane alla prima esperienza estera.

«Non potevo certo oppormi alle sue scelte, ma mi preoccupava già il conto finale, presumibilmente non in linea con le frugali abitudini aziendali. Eravamo ancora un’impresa medio-piccola; certe cifre, allora, avrebbero probabilmente fatto sobbalzare mio padre».

Un viaggio irripetibile fra luoghi dove il vino italiano, anzi, il vino in genere, era ancora un oggetto misterioso, non facilmente reperibile. Al termine del soggiorno, giunta l’ora di affrontare la questione spese con il buon Simonovic, pronto a ricevere con finta indifferenza un conto di una certa consistenza, Il Marchese lo attende al mattino per la colazione nella sala da pranzo dell’hotel. Ma ecco che scopre con sorpresa che il polacco non è più in albergo, ha lasciato la camera già da un’ora con tutti i bagagli, di gran furia e con il conto pagato.

«Vagamente stupito dalla strana situazione, e un poco contrariato dal fatto di non poter chiudere una pendenza che mi pesava, non mi resta che volare a Manhattan per iniziare il mio periodo di apprendistato, confidando che, presto o tardi, sarebbe stato lui a farsi vivo».

Niente; per tutta la permanenza in America, di lui nessuna notizia. Ripartendo per l’Italia, scrive ancora una volta all’irreperibile importatore per ottenere il benedetto conto. Nessuna risposta.

Per mesi continuerà a chiedere se sia giunta da laggiù una lettera a lui indirizzata. Sempre niente.

«Non mi sembrava corretto lasciare in sospeso un debito con un collaboratore straniero. Non lo avrebbe mai fatto l’intraprendente Vanni di Filippo Antinori, manager dell’alto Medioevo, né Alessandro di Niccolò, che nel XVI secolo già manteneva un ufficio commerciale a Toledo e mercanteggiava botti con Djerba e Algeri».

Decide allora di contattare direttamente l’ambasciata italiana in Canada, chiedendo un nuovo recapito o qualsiasi altra notizia recente del cerimonioso polacco. Anche quell’ufficio, però, tergiversa.

Poi, d’improvviso l’incredibile notizia. Salta fuori che il soggetto in questione si è volatilizzato, quasi sicuramente «oltrecortina». Oltrecortina? Sì, perché pare ormai assodato che questo Simonovic fosse, in realtà, un agente del Kgb sotto copertura, fuggito dal Canada probabilmente perché scoperto e in procinto di essere braccato dai servizi d'intelligence. Una spia russa con una passione per l’enologia nostrana e una notevole conoscenza della lingua italiana. Il Marchese dal canto suo non chiederà più niente del suo debito. E a chi, poi?

Certo, non tutti possono dire di aver viaggiato, dormito, bevuto e mangiato da gran signore a spese dei servizi segreti sovietici!




Fonte testuale e bibliografica: "Il Profumo del Chianti. Storia di una famiglia di vinattieri" di Piero Antinori - Edizioni Mondadori, 2011.





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